immobile sul mobile. a posto fuori posto. la lezione del gatto

Vivere con un gatto significa “accorgersi”… nel quotidiano muoversi per l’ambiente consueto della casa.

Dove noi umani insistiamo a cercare il miraggio del “ogni cosa al suo posto”. I miei gatti mi fanno di tanto in tanto il regalo di risvegliarmi al “c’è un altro posto”. È l’inaspettato che ti si pone lì.

Reputo che la mia attitudine a fare metafore e a pensare diverso sia così in quanto è stata spontaneamente e costantemente tenuta in esercizio dalla vita con Gatto, Micia e Gildo. E prima era Marcello. (Lui che faceva colazione con me e mi ha insegnato anche la priorità in una volta… quando mi ha dato una spruzzatina dritto in petto della sua pipì, perché intenta a parlare al telefono seduta sul divano… non gli aprivo la finestra per uscire).

Stamattina mi muovevo lenta per casa. Con la testa piena di cose da fare che non vogliono uscire fuori ed andare alle mani. Sul fare appunto. Che stanno bene tutte scombinate nella mente e per praticarle devi sgranarle fuori come un filo di perle una a una. Operazione difficilissima in questi giorni di caldo e forse sempre.

Mentre mi appresto ad alzare la tapparella in salotto, dove sto (tentando di) per finire di scrivere il libro… spunta lui.

Eccolo lì. Placido come se fosse sulla spiaggia più bella del mondo. Infilato steso tra la lampada e il muro. Gildo.

Cioè non è che spunta. Non sai mai di certo da quanto sta lì, un gatto. E’ che finalmente ti consenti – appunto – di accorgertene. Lo noti. Prima era mimetizzato dall’offuscamento mentale dell’ordinario.

E’ un attimo. Del quale personalmente sono infinitamente grata.

Capita spesso. E la cosa stupenda è che non ti ci abitui mai. E’ sempre stupore.

Sembra un rituale. Ogni volta che accade – qualsiasi cosa stia facendo – sento il tempo che rallenta. Immediato. Per farmi apprezzare quel che osservo. Prendere l’i-phone per uno scatto. O scrivere qualcosa. Come ora. O altro.

E’ un cambio di prospettiva che pacifica. Sta al piano attico della visione del mondo.

Faccio in tempo a fare le foto. Scrivere questo post. Avere uno scambio di messaggi emozionante. Piangere. Far andare roomba. Lui è ancora lì. Non si sa quando “il posto” smetterà di essere un posto. Potrebbe durare qualche giorno. Oppure stancarsi subito appena lo desti con un rumore. Al momento sembra piacergli. E resta.

Mi lascia perfino il tempo di guardare fuori dalla finestra. Il fiume. Il verde. Altra bellezza.

Scrivo senza dover pensare più di tanto e questo è bello. Quando si riesce a trasformare in atto di comunicazione per gli altri un vissuto che dura così poco e poi è eterno… credo significhi che si è nel pieno del proprio essere essenziale. Gli alberi qui fuori si muovono da fermi. Un’altra conferma.

Come si fa a chiamarlo tempo perso? Io non credo ne sarò mai capace e una parte di me auspica sempre che questo diventi sempre più tempo produttivo nel mondo “reale”.

Perché cosa sarebbe mai il mondo senza lo stupore… ce lo abbiamo sotto gli occhi.

Cosa sarebbe senza la capacità di intravvedere mondi su mondi?

Nessuno lo vorrebbe. Anche se lo abbiamo fatto.

Lo abbiamo fatto perché ci siamo “dimenticati”. Abbiamo lasciato vincere la paura, la concretezza vuota e la schematizzazione delle priorità. Siamo diventati adulti grigiotti e rigorosi. E non sappiamo più perché. Abbiamo voluto dimostrare di avere la testa sulle spalle e ci siamo dimenticati che le spalle sono supportate dal cuore. Che il cuore ha sotto di sé la pancia. E così via. Fino ai piedi. Piedi che indossano belle scarpe acquistate e vanno dal riflessologo plantare… invece che camminare scalzi sull’erba, la terra e i sassi. Cose così dai… sappiamo tutti…

Immagino degli scambi. Io ti insegno a stare fermo a non fare niente altro che osservare. Tu mi insegni a muovermi con costanza. Io ti insegno un passo a destra e tu a sinistra. Alla fine staremo ballando un ballo che non ha nome. Nuovo. Accade per assonanza. E’ come quando il mare mosso da degli scossoni che senti a destra e a manca fino a quando non ti arrendi al movimento e ti ci immergi… muovendoti nell’insieme… ti senti fermo.


Come la terra… ora che ci penso. Ma questo magari è un altro post.

Intanto godiamoci Gildo. Il maestro è lì. Stavolta. E chissà quanti altri ce ne sono in giro nascosti tra le righe delle cose che ci lasciamo sfuggire dagli occhi…

Chissà come sarebbe il gioco “tana liberi tutti” dove si va a caccia di maestri… invece che di pokemon.

 

Grazie Gildo.

Stamattina hai vinto tutto.

coach your life – cat your life

maestria di massa

Standardizzare la propria crescita personale, affiliati ad un solo maestro…

Sotto raffinate aggregazioni… le nuove trappole dello sviluppo di ciascun individuo.

 

La grandezza della massa…è spesso piccola cosa. Dove la massa impara da uno non colgo senso di libertà.

Ne annuso l’odore. Un po’. Ma è solo quel poco che basta per far desiderare, da un assaggio, un boccone  più grande.

 

Anche il migliore dei maestri, anche quello che ti parla della massima libertà possibile, che ti insegna a sprigionare il tuo io più grande e poi più grande ancora…

A diventare più spazioso… se lo segui con troppa dedizione… è l’antitesi della libertà.

Non c’è movimento, gruppo, o maestro che possa condurti davvero alla tua libertà. Perché questa ti chiederà sempre di potertene andare. Di pensare diverso. Di-verso. Nel tuo verso.

 

Qualsiasi voce esterna – per quanto autorevole – quando l’ascolti troppo è ridondante.

Come una cassa posizionata male. Stride al tuo orecchio.

Una amplificazione esterna che ti impedisce di ascoltarti veramente nel tuo intimo.

Più l’orecchio si raffina, più ti guida…

 

Nessuno può accompagnarti dentro e dentro di te. Tue sono le strade. Tuoi sono gli incroci. Tue le decisioni che prendi e tuoi gli errori. Tue le percezioni sottili. Quelle. Sopra ogni cosa.

 

Innamorati invece di molti maestri. Scorgili ovunque. Sui palchi e per la strada.

Segui le tracce di chi ti accompagna per un tratto e poi ti lascia alla tua verità viva. Anche se diversa dalla loro. Anche se diversa dalla tua di ieri…

Migliori.

 

Ogni maestro parlante è un essere umano.

I più preziosi sono quelli che non hai scelto, quelli che ti sei concesso di incontrare, senza saperli.

Forse non sono di carne. Possono essere un albero o un’auto che passa. Una carezza ad un pezzo di carta.

 

Vai dove puoi concederti di calpestare i tuoi rovi e dove invece l’erba fresca ti accarezza i polpacci.

L’armonia non è mai un assoluto.

Stai un po’ nella tua ombra. Sentine il freddo. Il fetido odore. Ascolta il male. È tuo.

E decidi fino a  che punto addentrarti e quando restare.

Il tuo divenire. Il tuo avvenire. Il maestro che sei.

Ciò che è fuori non può essere dentro fino a quando non lo lasci entrare.

Sei tu che apri e chiudi le tue porte, come non sai.

Non c’è guru che possa girare la chiave di ogni tua serratura, perché quelle che ti da sono unicamente le sue. Non ha altro che sé. Anche lui.

Nessun maestro ti da te.

Ti da sé nel modo migliore che gli è consentito e questo suo limite incontra il tuo. A farti spazio.

Essere spazio.

Quando non stai pensando. Quando non stai riflettendo. Quando esisti e ti muovi del tuo movimento – con o senza gli altri – la tua energia muove qualcosa di unico verso l’esterno.

Quello che “ti chiami” è sempre un gradino più sotto di quello che… esisti.

Fidati di te.

Sei una combinazione di numeri. Sei il lucchetto. E sei la tua libertà.

Tu.

Che tu segua o guidi. Che tu impari da frasi di altri o che viva le tue… dentro ci sei sempre e solo tu.

Tu solo.

Tu unico.

Tu sacro.

Tu esempio.

Tu casa.

Imparati.

E il corpo ti darà ragione…

 

SACRO E PROFANO. LA VERA SPIRITUALITA’ LA HAI NELLE TUE MANI

 

…quando il “sacro” si mischia col “profano” tu capisci UNA SOLA UNICA ESSENZIALE COSA:

 

hai compreso già il tutto ed è tempo di ESPRIMERE IL TUO MAESTRO e non seguirne nessun altro.

 

Se Professor Igor va a braccetto con Commendator Alfio e assieme si mettono a fare un corso di Ricchezza… in Svizzera…
è tempo di smettere di far brillare il primo dicendo al mondo quanto è grande e libera la sua mente e chissà forse anche di guardare all’anima del secondo… (è dura eh)…ma SOLO e UNICAMENTE per una RIFLESSIONE PERSONALE CHE RIPORTa A:

“MAGIC MIKI… TU HAI MAESTRIA
…CHIUNQUE HA LA SUA MAESTRIA… QUESTA E’ LA MAGIA”

 

e penso gli ARTIGIANI che incontro

ah quanto amo la loro MAESTRIA che nasce dal Fare.

Come sono spirituali le loro abili mani che si muovono con confidenza mentre TRASFORMANO cose in oggetti preziosi.

 

Rido. Quello che ho ricevuto in quella promozione del corso… è solo un altro segnale della legge degli opposti. I paradossi che ci portiamo addosso. Quelli da ammirare se vuoi davvero COMPRENDERE IL TUTTO… certe volte ti si sparano addosso con una mail… come stamattina.

A ricordare CHIARO IL MESSAGGIO:

 

IL MAESTRO E’ DENTRO OGNI PERSONA

LA SAGGEZZA E’ IN OGNI COSA

 

Ecco… questo – sorridendo – voglio dirvi. Mentre prendo il tempo per scrivere questo post. Alimentare il blog di un altro pensiero. E ringrazio la persona che mi ha inviato la mail stamattina. Perché mi ha regalato un momento per entrare nelle mie incoerenze. Un momento per essere critica e sentire un filo di delusione e subito dopo un momento per sorridere! Notare il paradosso e intravvedere ciò che è:

TUTTO CIO’ IN CUI CREDI E’ DENTRO DI TE.

Non serve andare da nessun maestro.

O meglio devi affrontare il paradosso più grande:

OGNI MAESTRO DA CUI SENTI IL BISOGNO DI ANDARE… NON E’ ALTRO CHE UNO SPECCHIO DELLA TUA IMMENSA INFINITA SAGGEZZA CHE GIA’ POSSIEDI.

E per concluderla in ridere…

quando potrai ANDARE AL BAGNO la mattina e spiritualizzare quel momento. Vivere con intensità il lavare i piatti, come dare un bacio al tuo uomo o salutare il tuo gatto o chissà che altro… ecco che ALLORA POTRAI DIRE DI AVER TROVATO IL TUO TUTTO…

IL TUTTO E’ IN OGNI COSA. IL TUTTO E’ TE.

 

E se queste parole ti risuonano un pochino, se vuoi per una volta fidarti di te… Oggi, solo oggi… invece che leggere un libro, invece che ammirare qualcun altro, invece che fare la bava alla bravura di un altro…

CELEBRA TE STESSO. RICONOSCI LA TUA MAESTRIA. FREGATENE E PORTALA FUORI. OVUNQUE TU SIA. QUALSIASI SIA LA COSA CHE STAI FACENDO. TU SEI IL MAESTRO

6chi6

e se vorrai prendere un paio di minuti per scrivermi stasera o domani mattina come è andata, come ti sei sentito… potremmo far diventare questo post una raccolta di maestri, una bacheca ispiratrice di altri e altri maestri. e leggere così le loro storie…

che poi… sono spesso quelle più interessanti…

Buonissima giornata! 😀

i maestri sono ovunque…specchi

ho sempre pensato che per lavorare ‘nelle’ vite degli altri si debba sentire FORTE la responsabilità di non tirar loro addosso i pezzi della tua vita irrisolta.

Non so come spiegarlo meglio. Ma dentro questo ‘tirare addosso’ metterei tutti i consigli ‘fai come me’, ‘non fare come me’ e tutte quelle induzioni nascoste ad acquisire i comportamenti giusti, dove per giusti si intende ‘fai quello che è giusto secondo me’.

Non è facile. Anche noi “addetti ai lavori” abbiamo un inconscio! 😉

Per riuscire anche solo a provarci bisogna essere IRRIMEDIABILMENTE ONESTI CON SE’ STESSI E POI – SOLO POI – approcciare un’altro essere umano… “secondo me”.

Non è facile. Ma a volte – con la apertura e la connessione – incontri maestri inattesi. Anni fa io ho ‘incontrato’ Jodorowsky. Inaspettatamente e in strade che fino a prima mi sembravano sentieri fitti di arbusti deresponsabilizzanti. 🙂

Mai avevo trovato così ben espresso un pensiero. Una convinzione. Che mi ha sempre accompagnata…mentre scavavo dentro di me, per stare bene, per tirar fuori il mio essere intero e…per essere sicura di far bene il mio lavoro con gli altri…

Ve lo metto qui. Questo pensiero di Jodorowsky, che ringrazio per toccarmi sempre l’anima col suo modo di scrivere e parlare. Questa è la mia interpretazione del mio approccio al lavoro che faccio. Scritta con le parole di un poeta dell’animo più denso. Questo è quello che voglio dare ad ogni persona che entra nel mio studio. E’ quello che metto in un progetto. E ogni volta che ricevo una domanda alla quale spesso…rispondo con un altra domanda.

“…Al momento di leggere le carte, il tarologo deve osservare il consultante come se fosse un medico del corpo e dell’anima.

Tenere un considerazione la postura, le tensioni muscolari, la statura, il peso, la qualità e il colore della carnagione, il modo di respirare, i punti in cui risuona la voce. Poi sentire le sue preferenze sessuali. Domandarsi se la persona ama o è amata e anche quali siano le sue idee. Tutto ciò fornirà un ritratto rivelatore del livello di Coscienza del consultante. Un ritratto cui si deve arrivare con grande precauzione: può darsi che il consulto venga richiesto per una curiosità superficiale o per cercare non una rivelazione ma un calmante che aiuti a sopportare senza dolore quello che sta accadendo. Un conto è dare, un conto è obbligare a ricevere. E’ facile per una lettura trasformarsi in veleno. E’ una tentazione fare predizioni catastrofiche per il lettore “veggente”, che considera verità assolute le proprie conclusioni soggettive: ma, pur essendo motivate da un sincero desiderio di aiutare, rischiano di intossicare lo spirito del consultante. Valga come esempio una notizia comparsa sui giornali lunedì 20 gennaio 2003: “Mircea Teodorascu, un rumeno di 51 anni residente nella regione del Bacau (Romania dell’est), ha creduto di trovare nel suicidio una soluzione ineluttabile. Qualche giorno prima, un’indovina gli aveva predetto una morte nei giorni successivi: la sua o quella del figlio di ventitrè anni. Di ritorno a casa, Mircea Teodorascu, per “salvare il figlio”, si è pugnalato con un lungo coltello da cucina. Trasportato d’urgenza all’ospedale, è deceduto poco dopo”.
Il tarologo deve saper rinunciare a ogni pretesa di indovinare il futuro, e rendersi conto di quali motivi lo spingano a leggere le carte. Per ottenere potere sulla vita degli altri? Per guadagnare tanti soldi creandosi dei clienti? Per farsi ammirare? Per condividere i propri problemi? Per sedurre sessualmente? Se la nostra posizione in quanto lettori non è chiara, non sarà chiara neanche la lettura. Essendo i Tarocchi un insieme di simboli, oscuri perché sono iniziatici, essi diventano un linguaggio fondamentalmente soggettivo. Il tarologo ha bisogno di sapere quale genere di contenuti psicologici proietti il proprio inconscio sul lettore. Nessuno può dire di conoscersi veramente. Conosciamo soltanto quello che siamo nel momento in cui ci osserviamo, ma lo spirito, come l’universo, è in perenne espansione. Un’attenzione costante, un severo stato di allerta, l’accettazione sincera delle pulsioni che ci incalzano per essere tenute sotto controllo e venire guidate verso interpretazioni oggettive, devono orientare la nostra lettura. E’ possibile che un consultante assomigli a nostra madre, a un altro famigliare o a qualcuno che, nell’infanzia, ci ha fatto subire qualche costrizione. Se non ne siamo consapevoli, tratteremo il consultante con lo stesso rancore che riserveremmo a chi ci ha fatto del male. Impossibile dire: “Non farò proiezioni”. Ma è possibile dire: “Sarò consapevole delle mie proiezioni”. Perciò, quando leggiamo i Tarocchi, dobbiamo sapere come ci sentiamo. Vedere se il consultante ci sta simpatico oppure antipatico, se ci fa paura, se ci attrae sessualmente, se lo ammiriamo, se lo giudichiamo senza pietà. Uno dei rischi maggiori della lettura è quando il lettore giudica moralmente il consultante. Perché nel Giudizio (le Jugement), “il giudice mente” (le juge ment).
Ma come si fa a leggere senza manipolare, senza guidare, senza ergersi a Maestro?
Per non scivolare in questi errori, mi sono proposto di non elargire mai consigli, ma di strutturare la lettura in modo che la soluzione arrivasse dal consultante stesso. Per raggiungere tale obiettivo mi sono basato sugli studi relativi all’analisi dei sogni: lo psicanalista non deve spiegare al paziente il segreto dei simboli onirici. Infatti, ciò significherebbe interpretare il ruolo di madre-padre, relegando il cliente in una perenne infanzia. Il paziente deve sviscerare da solo i messaggi che gli vengono inviati dal subconscio. L’analista può presentare diverse soluzioni. Spetta al consultante scegliere la via che più gli conviene.
Pertanto, il lettore di Tarocchi deve raggiungere una perfetta neutralità, dimenticando, nell’intenso dono di se stesso, i propri desideri, sentimenti e opinioni. Ma se riesce a trasformarsi in un “uomo invisibile”, chi sarà a leggere i Tarocchi? Usando una metafora, direi uno specchio. Nella limpidezza del nostro spirito si riflette il livello di coscienza del consultante. Usando un linguaggio adatto a lui (ad esempio, nel caso di un bambino, utilizzando un linguaggio infantile), mimetizzandoci con l’altro linguaggio faremo sì che, attraverso la nostra vacuità, attraverso i nostri gesti e parole, il consultante si legga i Tarocchi da solo, La lettura darò una soluzione che corrisponda al mondo dell’altro e non al nostro. Le nostre soluzioni non sono le sue soluzioni,
Se il consultante non è d’accordo con la nostra lettura, non dobbiamo cercare di convincerlo: bisogna sempre dargli ragione, perché è della sua vita che si tratta. In realtà, l’inconscio è il nostro alleato. Se si rifiuta di rivelarci un segreto è perché non siamo ancora pronti. La rivelazione non va mai forzata. Dobbiamo ottenerla con grande prudenza.

Abbiamo parlato non soltanto delle parole del tarologo, ma anche dei suoi gesti. Per impiegarli bene, innanzitutto dobbiamo osservare la posizione del consultante: lo faremo sedere di fronte a noi? Al nostro fianco? Lo faremo sedere davanti, così noi, dietro a lui come un’ombra, potremo guidare la sua lettura? La scelta spetta al tarologo. L’uno di fronte all’altro è seduzione (pericolo di abuso di potere: il consultante si sottomette come un bambino). Al nostro fianco c’è uno scambio emozionale (pericolo di transfert incestuoso: il consultante cerca di coinvolgerci in un legame simbiotico). Dietro alle spalle, come un’ombra (pericolo di divinizzazione: il consultante ci scambia per un mago onnipotente). Tutte le posizioni sono utili, ma racchiudono un pericolo. Un gesto goffo, o troppo energico, o insistente oppure disordinato può condizionare negativamente la comprensione del consultante e minarne la fiducia…

A Kyoto, in Giappone, ho avuto la fortuna di assistere a una cerimonia del tè officiata da un maestro. La grande consapevolezza che si leggeva in ciascun gesto del maestro durante la preparazione di una “semplice” tazza di tè, la sua umanità, il senso estetico, l’economia dei movimenti mi hanno segnato tutta la vita. Ho deciso che dovevo riuscire a organizzare i gesti della lettura dei Tarocchi con l’umile perfezione zen di una cerimonia del tè.

Porgiamo al consultante il mazzo di carte da mescolare con un gesto chiaro e misurato, tenendolo non troppo vicino a noi ma neanche troppo vicino a lui. La metà del tragitto (offerta) deve percorrerla il tarologo. L’altra metà deve percorrerla il consultante (ricevimento attivo). Mentre la persona mischia le carte, il lettore rimane immobile, sereno. La voce con sui si esprime non gli risuona in testa, ma nel petto, è una voce dolce, la voce con cui si parla ai bambini, e proviene dal cuore, non dall’intelletto. E’ un tono di una bontà difficile da raggiungere… Per conquistarlo, il tarologo deve avvicinarsi a uno stato di santità… Non parlo dell’aspetto esteriore, stereotipato, di un santo da calendario, ma di un sentimento vero, poetico e sublime. Diverse religioni si sono impossessate del concetto di santità, conferendogli significati limitanti. Fra questi limiti ci sono: la negazione della sessualità, della riproduzione, della famiglia, unitamente all’esaltazione del martirio, alla negazione della sensualità, al rifiuto del mondo reale in nome di un mitico aldilà. Si parla di santi cattolici, musulmani, buddisti, ebrei (i “giusti”), ma non si riesce a concepire la santità civica. Il cittadino santo può fare l’amore, avere figli, crearsi una famiglia, godere in modo sano della vita, non appartenere a sette, non adorare dottrine dettate da un dio che ha un nome e una figura, praticare una morale non fondata su divieti, ma sull’idea di compiere gesti utili all’umanità. Il lettore di Tarocchi, se non è un santo, deve imitare la santità. In alcune culture orientali, le scimmie, i pappagalli e i cani vengono descritti come animali sacri che rappresentano l’ego individuale, essendo capaci di imitare i loro padroni.

Come si fa a imparare ad imitare un santo? La santità non è innata, non è neppure un dono che proviene dall’esterno; la si raggiunge poco a poco. Per essere forti nel grande bisogna essere forti nel piccolo, nel quotidiano, esercitandosi a dare senza aspettarsi di venire ringraziati, o ricevere denaro, o attenzione, o sottomissione… Senza confrontarsi e senza mettersi in concorrenza, ma accettando con umiltà i valori degli altri… Senza sbandierare il nostro punto di vista come un0unità di misura del mondo, ma accettando con benevolenza le diversità… Imparando, tra l’altro, a concentrare l’attenzione, a controllare, durante la lettura, a controllare i nostri pensieri, desideri, emozioni; a vincere la nostra pigrizia, a terminare sempre quello che abbiamo cominciato, a non innervosirci se il consultante rifiuta la presa di coscienza, a fare al meglio quello che stiamo facendo, a eliminare vizi e manie, a compiere gesti di generosità senza avere testimoni, a purificare lo spirito eliminando gli interessi superflui senza scivolare nell’eccessiva autocritica e nemmeno nell’autoindulgenza, a ringraziare consapevolmente per ciascun dono, a meditare, a pregare davanti al Dio interiore, a contemplare, a conversare con noi stessi su argomenti profondi, ad affinare i sensi, a smetterla di autodefinirci, a saper ascoltare, a non mentire e a non mentirci, a non crogiolarci nel dolore e nell’angoscia, ad aiutare il prossimo senza renderlo dipendente da noi, a non desiderare di essere imitati, a impiegare il tempo in modo lucido, a pianificare il lavoro, a non occupare troppo spazio, a non sprecare, a non fare rumori inutili, a non mangiare alimenti malsani soltanto per darci piacere, a rispondere il più onestamente possibile ad ogni domanda, a vincere la paura della vita e della morte, a non vivere soltanto il qui ed ora ma anche il là e il dopo, a non abbandonare mai i nostri figli ma a vegliare su di loro fin dall’infanzia, a non impadronirci di niente e di nessuno, a suddividere equamente, a non adornarci con vestiti e accessori per vanità, a non ingannare, a dormire il minimo necessario, a non seguire le mode, a non prostituirci, a rispettare scrupolosamente qualsiasi contratto firmato e ogni promessa, a essere puntuali, a non invidiare il successo altrui, a parlare il minimo necessario, a non pensare ai benefici che si possono trarre da un’opera ma amare l’opera per se stessa, a non minacciare mai né maledire, a metterci nei panni dell’altro, a fare di ogni attimo un maestro, a desiderare ed accettare di essere superati dai nostri figli, a insegnare ai consultanti a imparare da se stessi, a vincere l’orgoglio trasformandolo in dignità, la collera in creatività, l’avarizia in saggezza, l’invidia in ammirazione per la bellezza, l’odio in generosità, la mancanza di fede in amore universale; imparando a non applaudirci né a insultarci, a non lamentarci, a non dare ordini per il piacere di farci obbedire, a non contrarre debiti, a non parlare mai male degli altri, a non conservare oggetti inutili, e, soprattutto, a non operare mai a proprio nome ma sempre in nome del Dio interiore…”

(A. Jodorowsky – La Via dei Tarocchi – Ed. Feltrinelli)